Tutti i giorni siamo tempestati di messaggi sull'importanza della prevenzione oncologica.
Ma perché la prevenzione è considerata la vera arma per vincere il cancro?? Senz'altro lo è perché, negli stadi iniziali della malattia, sono maggiori i margini di intervento curativo. Il tempo nell'attività di diagnosi è quindi fondamentale: la diagnosi deve essere tempestiva, oltre che corretta.
Ma cosa accade quando, ci sottoponiamo a dei controlli ed esami diagnostici periodici, assecondando l'opportunità di fare prevenzione, ma il medico non riconosce la presenza di un tumore e ci invita a presentarci al successivo controllo di routine, spostato nel tempo di diversi mesi?
Succede che si perde tempo: tempo prezioso per le cure, tempo che, in modo più probabile che non, ci allungherebbe la vita o addirittura, se speso bene, eviterebbe l'evento morte.
La sentenza della Cassazione n. 8461 del 27 marzo 2019 è stata emessa al termine di un giudizio, promosso da una paziente (e poi proseguito dai congiunti della stessa) nei confronti di un medico che a seguito dell'accertamento diagnostico, aveva dato una lettura non corretta dell'esame. Nello specifico aveva rinvenuto la presenza di una massa benigna nella mammella della paziente e ritenuto che non sussistesse la necessità di intervenire, tanto da rimandare la paziente a casa, con la prescrizione di tornare a controllo 6 mesi dopo. La paziente, di sua spontanea volontà, decideva tuttavia di chiedere un consulto a diverso medico, il quale, al contrario di colui che lo aveva preceduto, riscontrava la natura maligna della massa tumorale e decideva di intervenire d'urgenza per l'asportazione dell'intera mammella. A questo di asportazione, seguivano due interventi di chirurgia plastica.
La Cassazione con questa sentenza è intervenuta per sancire l'importante principio secondo cui : è configurabile il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico e il pregiudizio subito dal paziente qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi.
La responsabilità del medico va quindi individuata nel momento in cui, con una probabilità massima, quale quella del più probabile che non, una diagnosi tempestiva avrebbe potuto addirittura evitare l'evento morte (come nel caso specifico).
Avv. Silvia Mereu
Il nuovo decreto legge sulle banche, approvato il 29 aprile 2016 dal Consiglio dei Ministri, introduce, tra le altre, importanti modifiche alle norme che disciplinano il processo esecutivo. Analizziamole vedendo l'intervento operato sugli articoli coinvolti dalla riforma:
- all'art. 492 c.p.c. è stato aggiunto il comma terzo che stabilisce che "il pignoramento deve contenere l'avvertimento che a norma dell'art. 615, secondo comma, l'opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile".
- nell' art. 615 c.p.c. è stato modificato il comma secondo che ora prevede termini ridotti per poter proporre opposizione, e precisamente: "l'opposizione nell'esecuzione per espropriazione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile".
- nell' art. 532 c.p.c. è stato modificato il comma secondo che ha fissato in 3 il numero massimo di esperimenti di vendita, esauriti i quali "il giudice dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo anche quando non sussistono i presupposti di cui all'art. 164 bis disp. att. cpc.". L'asta, inoltre, dovrà svolgersi in via telematica salvo che tale modalità sia pregiudizievole per l'interesse del creditore o per il sollecito svolgimento della procedura.
- art. 648 c.p.c.è stato modificato il comma primo che adesso stabilisce che "il giudice, anche in caso di opposizione, deve concedere l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo limitatamente alle somme non contestate.
Milano
Avvocato Silvia Mereu
Il giudice dell'esecuzione con l'ordinanza di vendita stabilisce il termine, non inferiore a novanta giorni e non superiore a centoventi, entro il quale possono essere proposte le offerte di acquisto ai sensi dell'art. 571 c.p.c. e fissa l'udienza per la deliberazione sull'offerta e per la gara tra gli offerenti.
Il termine per la presentazione delle offerte fissato nell'ordinanza di vendita non è perentorio, ma le offerte formalizzate oltre la scadenza sono inefficaci a norma dell'art. 571 c.p.c.
Eseguita la pubblicità prescritta dall'art. 490 c.p.c., secondo le modalità e i tempi indicati nell'ordinanza, si procede alla vendita; vediamo chi può presentare una offerta e in che modo.
Legittimato a proporre una offerta è chiunque, tranne il debitore. L'offerta è una dichiarazione con la quale l'interessato manifesta l'intenzione di voler acquistare il bene immobile posto in vendita dal giudice, che può essere proposta personalmente o a mezzo di un avvocato per persona da nominare.
Quali sono i requisiti dell'offerta?
Essa deve essere presentata in busta chiusa e deve necessariamente indicare: a) le generalità, luogo e data di nascita, codice fiscale, domicilio, regime patrimoniale, sottoscrizione del soggetto che la propone; b) i dati identificativi dell'immobile; c) il prezzo offerto; d) le modalità di pagamento che si propongono.
Ciascun offerente potrà, al fine di rendere migliore rispetto alle altre la propria offerta, indicare ogni altro elemento utile alla valutazione dell'offerta.
Nella stessa busta deve essere inserita copia del documento di identità dell'offerente e un assegno circolare non trasferibile intestato al Tribunale del luogo dell'esecuzione dell'importo pari al 10 % del prezzo offerto che costituisce la cauzione.
Nel depositare la busta l'offerente dovrà eleggere domicilio nel Comune in cui si trova il Tribunale, diversamente le comunicazioni a lui dirette potranno essere fatte in cancelleria.
In data 23 giugno 2015, il Consiglio dei Ministri ha approvato il D.L. n. 83 recante "Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria". Sono tre le aree tematiche interessate dalla riforma:
- procedure concorsuali (Titolo I);
- procedure esecutive (Titolo II);
- processo civile telematico (titolo III).
Ci occupiamo in questa sede di come la riforma in parola sia intervenuta sulle norme che regolano il processo esecutivo.
Partendo dal primo atto propedeutico all'instaurazione della procedura, il precetto che deve ora contenere l'avvertimento che "il debitore può, con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore". (Art. 480 c.p.c.)
Per quanto concerne, invece, il vero e proprio atto introduttivo, il pignoramento, la riforma ha ridotto i termini di efficacia di tale atto da 90 a 45 giorni. Il creditore è, quindi, tenuto entro il suddetto minor termine a chiedere l'assegnazione o la vendita, pena la perdita di efficacia dell'atto. (Art. 497. c.p.c.) Il debitore potrà chiedere la conversione del pignoramento e il giudice potrà accordargli il pagamento rateizzato della somma corrispondente, fino a un massimo di 36 rate. Ogni sei mesi il giudice provvederà a distribuire tra i creditori la somma ricavata (Art. 495 c.p.c.). Nuovi limiti sono poi stabiliti in ordine alla pignorabilità delle somme dovute a titolo di pensione, indennità che tengono luogo di pensione e di altri assegni di quiescenza. (Art. 545 c.p.c.)
Sono stati ridotti della metà, anche, i termini relativi al deposito dei certificati catastali o della certificazione notarile sostitutiva ventennali: il creditore che ha depositato l'istanza di vendita deve depositare la suddetta documentazione entro i successivi 60 giorni, invece che nel termine di 120 giorni come era stato finora (Art. 567 c.p.c); nonchè quello entro il quale il giudice autorizza la vendita: quest'ultimo, entro 15 giorni dal deposito della documentazione a corredo dell'istanza di vendita da parte del creditore, deve nominare l'esperto estimatore e fissare l'udienza di comparizione delle parti. (Art. 569 c.p.c.)
Le aste riguardanti beni immobili o mobili registrati si effettueranno on line sul portale unico delle vendite pubbliche, gestito direttamente dal Ministero di Giustizia ed è previsto un contributo obbligatorio di 100 euro per ogni lotto di vendita. Il delegato alla vendita, delega divenuta obbligatoria, deve curare la pubblicità con le modalità sopra descritte e previste dall'Art. 490 c.p.c.
Di fondamentale importanza è poi l'introduzione dell'art. 2297 bis nel c.c., il quale ammette l'esecuzione forzata di beni immobili e mobili registrati del debitore anche se sottoposti a vincolo di indisponibilità (o di alienazioni a titolo gratuito) senza la preventiva sentenza dichiarativa di inefficacia del vincolo o del trasferimento, laddove il vincolo sia sorto successivamente al credito e il pignoramento sia stato trascritto entro un anno dalla data di trascrizione dell'atto dispositivo.
A partire dal 1999 la giurisprudenza unanime ha ritenuto che anche la responsabilità del medico dipendente e/o collaboratore della struttura sanitaria, autore della condotta attiva o omissiva produttiva del danno al paziente, andasse inquadrata nella responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., in base alla teoria del “contratto di spedalità”.
In sintesi, si riteneva che nei casi di danni arrecati al paziente, così come la responsabilità civile della struttura sanitaria fosse da ricondurre all’art. 1218 c.c. in funzione della sola accettazione del paziente presso la struttura medesima, anche quella del medico dipendente e/o collaboratore andasse inquadrata allo stesso modo, con ciò che questa interpretazione portava con sé in termini di riparto dell’onere probatorio e di termini prescrizionali.
Con l’entrata in vigore della c.d. “Legge Balduzzi” 189/2012, però, si è assistito a un mutamento del diritto vivente, in quanto l’art. 3, co.1 ha ancorato la responsabilità anche civile del medico ospedaliero al diverso concetto della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
Tralasciando di riportare in questa sede i diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che sono intervenuti in merito alla più corretta interpretazione di tale norma, preme, invece, vedere cosa cambia per il paziente danneggiato che voglia intentare una causa non solo contro la struttura sanitaria, ma anche nei confronti del medico che gli ha arrecato un danno.
La norma in parola recita “L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita' si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
La fattispecie è quella in cui il paziente si reca in una struttura sanitaria dove viene seguito e curato da un medico con il quale non stipula un contratto d’opera professionale. Ebbene, dice la norma, se questo medico si attiene alle linee guida e sostanzialmente ai protocolli della comunità scientifica, egli non risponderà penalmente per colpa lieve, ma risponderà civilmente ai sensi dell’art. 2043.
Ritornando al cosa cambia per il danneggiato: mentre prima, quando la responsabilità del medico era inquadrata come responsabilità contrattuale, il paziente danneggiato si limitava a denunciare di aver subito un danno per essere entrato in contatto con la struttura sanitaria e con il medico e aveva un termine di 10 anni per agire ai fini dell’ottenimento del risarcimento, adesso spetta a lui dimostrare che sussistono tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano e ha un termine prescrizionale di 5 anni per farlo.
Abbiamo, quindi, assistito a un alleggerimento della responsabilità medica e, tuttavia, saranno le diverse sentenze pronunciate in materia a delineare al meglio la figura.
A seguito della riforma del processo civile, intervenuta con il decreto legge 132/14, nelle cause di separazione e divorzio, al giudice sono stati riconosciuti poteri di accertamento delle condizioni economiche dei coniugi ben più penetranti.
Infatti, il giudice può ora chiedere agli uomini della Guardia di Finanza di servirsi del database dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche per eseguire gli accertamenti e successivamente notiziarlo sulle concrete condizioni economiche dei coniugi . I finanzieri, in particolare potranno recuperare le informazioni di cui necessiti il giudice dall’anagrafe tributaria, dall’archivio rapporti finanziari, dal pubblico registro automobilistico, dalle banche dati degli enti previdenziali. Mentre in precedenza le indagini del giudice si riassumevano per lo più nel visionare le dichiarazioni dei redditi dei coniugi degli ultimi tre anni, adesso egli potrà, con le informazioni fornitegli dalle Fiamme gialle, verificare se i coniugi posseggano beni di lusso, come automobili di valore, carte di credito collegate a conti intestati ad altri, immobili e quant’altro, in quanto oltre alle dichiarazioni dei redditi e alle partecipazioni societarie, potranno essere condotte indagini anche sui depositi bancari degli ultimi tre anni.
Si tratta di un dato importante se si pensa alle numerose cause nelle quali il coniuge più bisognoso non riesca a dimostrare le capacità economiche dell’altro ai fini del riconoscimento di un mantenimento per se ma anche per la prole. E’ un potere d’ufficio, quindi, sarà il giudice che discrezionalmente valuterà la necessità o l’opportunità di indagini così approfondite.
E' stata pronunciata qualche giorno fa dal Tar Piemonte una importante sentenza, la n. 429/2015 che per i nostri soldati schierati nei teatri di guerra inquinati (Afghanistan, Balcani, Iraq,
ecc..)applica il criterio della probabilità, ossia basta l'insorgenza della malattia a far scattare l'indennizzo a favore del militare e dei suoi familiari a meno che l'Amministrazione non riesca
a dimostrare che la patologia sia emersa per fattori esogeni.